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[Radar] Cronache dietro le quinte #5: “Lo Stradone”

di Valeria Minciullo

Come si fa a scrivere un testo, o addirittura inventarsi uno spettacolo teatrale, su un tema che non ci tocca da vicino e non sentiamo davvero nostro? È la sfida di chi decide di partecipare a un bando, e deve lavorare su committenza su un argomento scelto da altri.

Lorenzo Carpinelli e Iacopo Gardelli, rispettivamente attore/regista e autore teatrale, non si sono fatti però scoraggiare e hanno deciso lo stesso di cogliere al volo l’opportunità che veniva loro offerta dal bando Radar sul tema della Via Emilia. Sono infatti entrambi di Ravenna, città che insieme a Ferrara non si inserisce lungo il percorso de Lo Stradone, il titolo che hanno scelto per il loro spettacolo. Dunque, pur abitandovi poco lontano, i due artisti non hanno mai sperimentato quel contatto abituale che li avrebbe agevolati nel processo creativo.

Li incontriamo fuori da Villa Pini, all’ombra degli alberi nell’afa improvvisa di giugno. Ci raccontano rapidamente come si sono conosciuti e come si è sviluppata l’idea del progetto dopo varie cestinature. Erano partiti, infatti, dal tema dello sfruttamento del lavoro, ma si sono presto resi conto che sarebbero stati più coinvolti se avessero costruito lo spettacolo su una base autobiografica. Ecco, allora, che Lo Stradone diventa non solo la via percorsa alla scoperta di un territorio a loro estraneo, ma anche una profonda discesa nella psiche di Lorenzo e nel dissidio che intercorre quotidianamente tra la sua vera professione e ciò che è, invece, la sua aspirazione. L’attore stesso inizia a raccontarci di sé, di ciò che rappresenta per lui il teatro, e – non a caso – la meta che dovrà raggiungere il protagonista sarà proprio un’audizione teatrale. Tra il punto di partenza è quello di arrivo c’è l’inconscio.

Vogliamo però saperne di più, e allora li seguiamo in sala prove: uno stanzone semivuoto, fatta eccezione per alcune sedie sparse e i tavoli su cui poggiano un mixer audio e luci e una pila di libri. Ci sono l’Ulisse di Joyce, i Canti Orfici di Dino Campana e distinguiamo di soppiatto anche un testo di Attilio Bertolucci. Iacopo e Lorenzo vogliono farci ascoltare alcuni brani dal testo che hanno steso finora: si tratta di una semplice lettura senza interruzioni o indicazioni di alcun tipo. Il monologo di Lorenzo si trasforma, così, in un conato di parole delirante e allucinato: un interminabile viaggio, quasi uno scioglilingua, destinato a narcotizzare il personaggio sulla scena. Un viaggio in macchina che si snoda lungo un’escalation frenetica di pensieri, umori, aneddoti insulsi e segnali provenienti dalla strada.

La Via Emilia, sullo sfondo di questo flusso di coscienza, non rimane un paesaggio inerte che scorre in time-lapse, ma “partecipa” attivamente per mezzo degli input esterni che invia di volta in volta a Lorenzo. E la sua stessa struttura dà forma non solo al territorio, ma anche ai pensieri che uno dopo l’altro vengono “sputati fuori” dall’inconscio. Inoltre, come preannunciava la pila di libri in sala prove, la via “parlerà” anche attraverso i suoi autori, in particolare i poeti del Novecento che accompagneranno il personaggio nel suo viaggio introspettivo. La poesia assolverà allora anche a un’altra funzione: quella di decomprimere il ritmo, data la sua natura cristallizzata e ordinata che donerà un po’ di respiro all’affannosa mente di Lorenzo.

Uno spettacolo dunque fondato sui contrasti, che non appartengono soltanto al personaggio, ma anche alla natura stessa di questa via antichissima, sospesa tra capannoni industriali e pianura sconfinata; una via adesso secondaria, che grazie agli artisti di Radar ritroverà un po’ di quell’importanza che aveva avuto nel passato. Lorenzo e Iacopo con il loro fervore ce l’hanno già resa familiare.

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