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foto di David Le Borgne
foto di David Le Borgne

Arnold è uscito dalla sala. Un’intervista-passeggiata con Zoé Lakhnati

di Federica Amatuccio

Racconto degli inizi: Federica Amatuccio e Andrea Gianessi in conversazione con Zoé Lakhnati e i suoi collaboratori Macarena Bielski Lopez e Antoine Dupuy Larbre, nei primi giorni della residenza presso Atelier Sì Bologna, nell’ambito del progetto Nouveau Grand Tour, ideato e concepito dall’Istituto di Francia in Italia (IFI) / Ambasciata di Francia in Italia.

Un teatro vuoto, per terra linoleum nero. Per entrare bisogna togliersi le scarpe. Hi, nice to meet you! Zoè Lakhnati e lǝ suǝ due collaboratorǝ, Macarena Bielski Lopez e Antoine Dupuy Larbre accolgono me e Andrea nel loro spazio di ricerca. Hanno preso possesso di quel luogo, ma forse non ancora del tutto. Un grande tavolo è pieno zeppo dei loro oggetti. Alcuni libri, dei post-it azzurri, quaderni e bottiglie d’acqua, penne e computer, è chiaro che sono alla ricerca di qualcosa. Ci sediamo per terra.

Inizia la decostruzione.

Abbiamo deciso che probabilmente cambieremo il titolo – dice Zoé.

Come mai? Ci incuriosiva così tanto questa scelta. Arnold, da Arnold Schwarzenegger. Quasi come fosse un nome archetipico, legato ad un immaginario potente, quello del cinema ma anche delbody building, del corpo in costruzione. Però effettivamente Zoé stessa nel progetto scrive:

Arnold Schwarzenegger è un dettaglio dell’Atlas Mnemosyne creato per questo assolo.

Zoé nel suo testo rileva anche che la metamorfosi è il concetto centrale di Arnold, metamorfosi che noi abbiamo inteso legata al dato fisico, sì, ma soprattutto al concetto di memoria. Un corpo coscientemente trasformato e reso pubblico, con la sua gestualità e ritualità tramandata, genera infatti un cambiamento nella percezione stessa dell’immagine del corpo nel mondo.

(foto di Davide Le Borgne)

È interessante per me capire come Zoé possa rappresentare tutto questo attraverso il suo corpo, prestante, sicuramente, da danzatrice, ma anche minuto, esile, legato ad un altro tipo di forza.

Zoé cita nel suo scritto il critico Aby Warburg:

La memoria inconscia delle immagini è, secondo lo storico dell’arte Aby Warburg, attivata dal gesto, essendo quest’ultimo ciò che sopravvive dalla storia e dai miti e quindi ciò che può riapparire nel presente. Sviluppando il suo Atlas Mnemosyne, l’idea di una mutazione di immagini da un’epoca all’altra, da un’area geografica all’altra, Warburg ha singolarmente rinnovato la pratica della storia dell’arte e più precisamente dell’iconologia. Appoggiandosi a questo Atlas Mnemosyne ci si può chiedere se i corpi stessi, sono costruiti, sono dichiarati e si perdono attraverso reminiscenze di gesti arcaici, sopravvivenze.

Immagino una delle tavole di Aby Warburg, accostamenti liberi di immagini, testi, fonti, testimonianze. Penso a quante possibilità di connessioni ci siano quando parliamo di corpo e di gesto e capisco che forse cambiare prospettiva può essere utile per Zoé. È ancora necessario aggiungere documenti e immagini sul muro.

Abbiamo intenzione di iniziare a creare delle mappature incrociate – ci dice Zoé – raccoglieremo materiali durante la nostra residenza per trovare nuove connessioni. Sento l’esigenza di decomporre il lavoro fatto finora. Da quando ho scritto il progetto per partecipare al bando, la mia visione è cambiata. Adesso è necessario che mi dedichi alla decostruzione di quel tema, più che alla sua costruzione. Vorrei forse anche uscire dall’idea di una performance frontale, rendere il pubblico partecipe del nostro processo, rendere visibile la ricerca e magari attivarla con delle azioni performative estemporanee, ci stiamo riflettendo, siamo solo all’inizio.

Certamente, essere a Bologna, Zoé, ti pone di fronte a un’idea di corpo molto diversa da quella del body building, forse anche rispetto a questo parlerei di decostruzione, di mutamento.

(dettaglio del collage sul muro del teatro)

Le raccontiamo dell’attivismo bolognese e di come l’arte qui diventi spesso gesto di rivolta, e il corpo manifesto, grido. Ma il suo sguardo sulla città non è ancora così formato e questo le dà la forza di guardare oltre e di costruirsi il suo percorso. Zoé si approccia alla mappa di Bologna con semplicità, come una bambina che scopre una cosa per la prima volta e ci pone davanti una riflessione semplice ma estremamente potente.

Quando sono arrivata a Bologna – dice – la prima cosa che ho fatto è stata aprire google maps e cercare musei e luoghi da visitare – effettivamente chi non fa questo quando si trova in una città nuova – Il teatro anatomico è un luogo incredibile! A Bologna la rappresentazione della morte è nei musei, la si studia dal punto di vista scientifico. Visitare uno spazio dedicato all’osservazione e allo studio dell’anatomia mi sembra: incredibilmente calzante con la mia ricerca.

E poi è un teatro!

Mi interessa anche il corpo fuori controllo, in disfacimento, in caduta. Mi interessa la rappresentazione del corpo morto, allo stesso modo di quella del corpo prestante del body builder.

Sicuramente andremo al cimitero, venite con noi?

Ridiamo, ma accettiamo subito. Non siamo mai stati alla Certosa di Bologna e siamo estremamente curiosi di capire che percorso vuole fare Zoé per costruire la sua mappa di riflessione.

Cosa la spinge a cercare ispirazione in un cimitero? Cosa di un corpo morto, sezionato o dilaniato la affascina? Perché è necessario per lei frammentare l’idea di corporeità?

Questo suo discorso sulla morte ci spiazza un po’. Ma ora comprendo come mai stia pensando di cambiare titolo. Penso comunque che in fondo ci sia molta connessione tra il body building e la visione anatomica della figura umana: vedere l’essere umano non come un unico ma come la somma di vari muscoli che bisogna allenare in modi specifici perché rientrino in standard rigidissimi. Questi corpi in costruzione non hanno uniformità, sono corpi che perdono la propria identità. È l’estremizzazione del concetto di bellezza, una scelta che porta a una trasformazione radicale di sé.

Zoé prende il computer. Lo apre e cerca tra i suoi file. Siamo ancora tutti seduti per terra. Ci avviciniamo allo schermo. Ci mostra un video di lei da bambina che balla in modo molto buffo. Sorridiamo.

Di questi filmati ce ne sono molti – ci racconta – Da piccola danzavo sempre! Ho provato all’inizio a riprodurre i gesti di quella bambina, mi sembrava stimolante introdurre nel lavoro questo aspetto di disordine, di danza non codificata, scoordinata. Ma quello da solo non mi sembrava abbastanza interessante per costruire tutta la coreografia.

(foto di David Le Borgne)

Capiamo che Zoé nel suo cercare percorre tante strade, cambiando continuamente direzione. Vuole provare con il suo corpo a restituire attraverso il gesto una gamma enorme di possibilità di rappresentazione.

Nel suo progetto scrive:

Arnold è una danza per frammenti di immagini in crisi. In crisi di nervi, in crisi di ansia, in attacco di cuore, in crisi epilettica, in crisi isterica, in crisi esistenziale.

Vorrei anche ridefinire il concetto di utopia – aggiunge Zoé – smontare l’idea di un mondo utopico fondato sull’armonia. Vorrei concentrarmi sulla crisi e sul disordine.

Ci mostra due libri che sta leggendo: Esthétiques du désordre. Vers une autre pensée de l’utopie, di Judith Cohen, Samy Lagrange, Aurore Turbiau e Invention de l’hystérie, di Georges Didi-Huberman. Per questo – continua – cerco di esplorare i vari stati possibili, il corpo in disordine, in crisi, come i bambini quando giocano alla guerra, giocano a morire, a rappresentare la morte, avete presente?

Abbandonare l’idea classica di bellezza eterna, equilibrata e trovare nel corpo una condizione diversa, di crisi appunto.

Ma perché, Zoé, identifichi il concetto di disordine con quello di crisi? È interessante, perché per noi la parola crisi, nella sua radice, implica anche la necessità di una scelta, di una decisione. Ci suggerisce l’idea di essere in bilico tra due stati.

È una buona domanda, non lo so ancora, ci penserò.

Mi interessa però la crisi anche come condizione patologica, come l’isteria, una patologia inventata che in passato è stata spesso associata alle donne.

Continuiamo a parlare ancora un po’. Non abbiamo una direzione precisa, è il momento di accumulare spunti e riflessioni. Decidiamo di lasciarli soli. Lǝ tre artistǝ ci invitano a tornare. Usciamo dalla sala.

Un paio di giorni dopo torniamo al Sì. Prima di entrare nella Sala della Memoria, ci accorgiamo che nel Nulla – il foyer – è cambiato qualcosa. Le pareti non sono più bianche. Su una di esse sono state attaccate delle fotocopie, proprio come faceva Aby Warburg, si percepiscono delle connessioni. Principalmente sono rappresentazioni di corpi femminili, morenti, ma non solo, si spazia dal mondo pop all’arte rinascimentale passando da immagini mediche, anatomiche. Accanto ad ogni foglio un post-it giallo contornato da scotch arancione su cui sono state scritte a mano delle piccole indicazioni. Titolo e nome dell’artista.

Entriamo. Zoé, Macarena e Antoine stanno guardando un documentario sul body building femminile degli anni ottanta: Women of Iron Female Bodybuilding documentary FBB 1983 Ms Olympia follows Carla Dunlap Deborah Diana. Join us, we keep on watching the movie! – Ci sediamo di fronte al computer.

La cosa che più mi colpisce di questo documentario – dice Zoé – è la domanda che dopo la gara si pone una delle protagoniste: “sono stata abbastanza femminile?”. Mi tocca perché mette in crisi la sua stessa identità per un’idea etero-imposta di cosa debba essere femminile.

Cosa vuol dire femminilità? Quali sono i gesti e le caratteristiche che deve avere un corpo femminile per essere considerato tale? In quali forme si manifesta la femminilità quando parliamo di muscolatura da body builder?

(foto di Federica Amatuccio)

Capiamo che questo quesito è uno dei punti focali della ricerca.

La discussione si anima. Ci scambiamo parole chiave: investigation, adaptation, formulating thoughts, cross mapping, eternal beauty, ignorance, representation of the dead body, decomposing, kid at war, utopia, death, maps, disorder, crisis, fit body, childhood, deconstruction.

Ogni strada intrapresa diventa possibilità. Ricerca.

Ma serve ancora tempo.

Lunedì andremo al cimitero.

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