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(dal sito di Romaeuropa festival)
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Coltivare i frammenti. Su “Anse” di Usine Baug

di Vincenzo “Notta” Riccardi

Sono circa le 21:00 del 19 luglio 2025, è la giornata conclusiva della 23ª edizione del Kilowatt Festival. La rappresentazione di Anse si è appena conclusa e, come accade spesso tra uno spettacolo e l’altro, mi ritrovo al punto di ristoro dei Giardini di Piero, immerso nel brusio dei critici e degli spettatori che fino a poco fa affollavano la sala del Teatro della Misericordia fino al pavimento. Nessuna traccia di quelle tre persone che ho visto lasciare la sala in momenti diversi dello spettacolo (se per il caldo o per l’indignazione non lo sapremo mai) e quando mi inserisco nella discussione le opinioni che ascolto sono perlopiù positive, eppure non esattamente. Man mano che vado avanti qualche “tuttavia” inizia infatti a farsi strada tra i complimenti, tracce di incertezza e confusione iniziano a prendere piede e, più di ogni altra, la sensazione comune ad alcuni di non aver capito l’operazione fino in fondo, di non riuscire a mettere esattamente a fuoco la loro opinione a riguardo.

Ciò che unisce tutti è sicuramente la dimensione estetica dello spettacolo, la regia sempre originale e materica degli Usine Baug e i loro escamotage visivi costruiti con grande maestria artigianale, mentre i dubbi si concentrano principalmente sulla “drammaturgia sonora” e l’interpretazione affidata non a una compagnia teatrale, ma al gruppo di spoken music Mezzopalco. Alcuni spettatori dichiarano apertamente la difficoltà di riconoscere la loro drammaturgia come parte di una vera pièce teatrale. Uno in particolare azzarda la curiosa definizione di “videoclip d’autore”, come se lo spettacolo fosse soprattutto un ponte eccentrico tra arte alta e arte bassa più che un testo scenico. E io invece mi chiedo: cosa ho da aggiungere al dibattito?

Aspettavo di vedere Anse fin dal suo debutto a RomaEuropa l’anno scorso, avevo piena familiarità con tutte le realtà coinvolte nel progetto e le mie aspettative non sono state per nulla disattese. Eppure, esplorare i dubbi degli altri spettatori mi ha forse restituito lo spettacolo nella sua veste più accattivante: quella di insieme di frammenti, di linguaggi e di schegge impazzite di cui avevo solo avuto la fortuna di aver collezionato, prima e durante il festival, tutte le componenti necessarie a dargli un’immagine precisa e coerente. Proviamo quindi a unire i pezzi.

(dal sito di Romaeuropa festival)

Mezzopalco vs. Il palco

Innanzitutto, chi sono quindi i Mezzopalco? Attivi fin dal 2018, il progetto di Toi Giordani e Riccardo Iachini nasce all’interno del collettivo bolognese Zoopalco, una realtà di ricerca nel mondo della poesia multimediale impegnata a dar voce a “tutta quella poesia che non sta sui libri” (citando le parole di Toi) attraverso diversi processi di libera compenetrazione della poesia con i più diversi e disparati linguaggi artistici. Nel loro caso specifico, il cuore della proposta si concretizza in una attenzione predominante alla ricerca vocale, la creazione di un impasto sonoro dove tutti gli aspetti musicali, armonici e ritmici possano venir gestiti attraverso l’emissione vocale. È proprio questa dimensione che mi aveva colpito tantissimo quando ho conosciuto i ragazzi a un loro concerto a Parco Schuster a Roma nel 2022 dove, a seguito di una serata di poetry slam, avevano chiuso l’evento performando Impre, il loro primo lavoro. Situato come in una sottile crepa tra concerto e performance, Impre ripercorre alcune delle voci imprescindibili della cultura occidentale passando di volata attraverso epoche e luoghi lontanissimi, creando per ogni coordinata un ambiente sonoro cucito specificatamente su dei personaggi che prendono vita attraverso i loro versi. Si inizia nel VI secolo a.C. con la concitata “Maratona” dedicata ad Eschilo, si passa per il flamenco in 12/8 “Baci di madre” dedicato a Pastora Pavon Cruz e si finisce con “Cometa rossa”, in cui vengono rievocati gli esperimenti vocali di Demetrio Stratos.

Unico strumento in scena è Ninjoh Beats, virtuoso beatboxer che si insinua tra il rapping di Riccardo e l’espressiva vocalità di Toi in un viaggio tra generi e sottogeneri che ha dell’incredibile se lo pensiamo sorretto semplicemente da qualche movimento delle labbra. In Anse, il duo ha espanso ulteriormente la propria gamma timbrica: al posto di Ninjoh, un controller MIDI manovrato da Toi riproduce e processa dal vivo le sue emissioni vocali, distorte fino a diventare rumore come anche semplicemente messe in loop e rallentate a creare una dimensione distesa e ambientale. La dimensione concertistica da predominante diventa tratteggiata, Toi rimane per la maggior parte del tempo voce invisibile su un lato del palco, mentre Riccardo si ritaglia un ruolo da protagonista, diviso tra il performare concitatamente i propri versi e il diventare silhouette per i suggestivi giochi di luce degli Usine Baug in un continuo on/off gestito magistralmente, dove un’immagine diventa musica e la musica diventa immagine senza soluzione di continuità. Una gestione dello spazio perfetta, a testimoniare che per i ragazzi sarà pure la prima volta in un teatro, ma non è la prima volta su un palco.

(dal sito di Romaeuropa festival)

Polifonie di carta

Un altro degli elementi più perturbanti di Anse è sicuramente il buio. L’esile narrazione inizia alle 19:13 di un martedì come tanti e segue il suo anonimo protagonista perdersi sempre di più nella notte, fino alle prime luci del mattino dopo. Il risultato è una scena perlopiù nera, dove la luce abbaglia per sottolineare dei momenti, fa a pezzi il tempo che scorre inesorabile e scandito talvolta solo da alcuni artifici di scena. L’impressione è come quella di riportare alla mente un ricordo che affiora a fatica, come interpretare i rimasugli di luce che rimangono nella nostra visione quando chiudiamo gli occhi. La prosa svolge in questo senso un ruolo fondamentale: abbandonando le storie convolute e (in parte) la metrica serrata di Impre, i versi di Anse si sposano perfettamente con i droni liquidi della voce di Toi e si fanno più esili e spogli, si chiudono in se stessi e ritrovano una nuova forza espressiva, sorprendentemente piena quanto fragile allo stesso tempo. Un’occasione per comprendere al meglio la drammaturgia di Anse mi è arrivata nelle forme del laboratorio di poesia Nel reticolo mediale, tenuto dai Mezzopalco sempre durante il Kilowatt festival all’interno dell’InformaGiovani locale.

Dalla durata di 5 ore, il laboratorio – dopo una prima parte dedicata ad una generale infarinatura sulla scena di spoken music italiana – si è concentrato in particolare sul tema dell’io lirico, una voce che deve essere il veicolo attraverso il quale il poeta è in grado di esprimere le sue emozioni e i suoi stati d’animo ma che deve allo stesso tempo allontanarsi dal poeta stesso, creare una distanza in modo tale da poter esplorare dei temi in modo universale e distaccato senza cadere nelle trappole del soliloquio o dell’estrema soggettività.

Uno dei tanti stratagemmi per liberarsi dall’io lirico usato anche durante la scrittura di Anse ha quindi occupato la seconda parte del laboratorio: divisi in piccoli gruppi, siamo stati invitati a scrivere su fogli separati un fatto accaduto in quella giornata, descrivere brevemente un personaggio o un oggetto e infine ad indicare uno spazio e tempo ben definito. Questi foglietti, mischiati, sono stati poi distribuiti a dei piccoli gruppi formati da 3-4 persone che hanno scritto ognuno per sé una piccola poesia ispirata a essi e, a loro volta, queste piccole poesie sono state per un’ultima volta mescolate e riposizionate verso gruppi differenti. Ogni gruppo, con ormai tra le mani 3-4 poesie, aveva quindi un ultimo obiettivo: come lavoro di squadra, assemblare un poema più lungo che inglobasse versi, suggestioni o immagini dalle poesie precedenti e che sarebbe stato poi recitata dal gruppo come chiusura del percorso laboratoriale.

Osservare questo processo all’opera è stato sbalorditivo: consapevoli degli elementi iniziali, vederli gradualmente sgusciare via dalla pagina con tale naturalezza era un risultato che non mi sarei mai aspettato. Più le mie parole si perdevano nei processi più diventano non mie, più faticavo a riconoscerle più i piccoli frammenti rimasti, giustapposti con i frammenti di tutti gli altri, erano davvero capaci di formare qualcosa. Ed è in questo aspetto che si consuma la capacità espressiva di Anse che, pur nella sua natura di oggetto estraneo, pur nella sua vena aleatoria ed irrisolta, riesce a conservare una sua universalità, generare sempre qualcosa ma mai indifferenza, riesce a evocare un’idea, un’immagine magari frammentata, magari perturbante. Ma presente.

(dal sito di Romaeuropa festival)

Raccogliere i frammenti

Il laboratorio di poesia si inserisce in una cornice di eventi, tutti curati dai Mezzopalco ma organizzati e gestiti da VisioYoung, la divisione giovanile dei Visionari – un gruppo di “non-addetti-ai-lavori” incaricato della selezione di alcuni degli spettacoli del festival – che ha organizzato per Anse una serie di attività complementari.

Ho parlato un po’ con una di loro, Elisa Bruschi, di quello che, brillantemente, hanno definito “progetto sANSEpolcro”: «Abbiamo visto per la prima volta lo spettacolo in video, e fin da subito è emersa l’intenzione di dare ampio spazio alla dimensione performativa dei Mezzopalco. Avevamo avuto diverse idee, ma alla fine a vincere sono state il laboratorio – proposto direttamente da Riccardo –, la ricerca di QR code nascosti per le strade del paese attraverso i quali poter ascoltare in anteprima la versione audiodramma di Anse (la cui uscita è prevista in autunno, ndr) e di cui pubblicizzavamo le location tramite delle storie su Instagram e un piccolo concerto nei Giardini di Piero, qualche ora dopo la rappresentazione a teatro e poco prima del DJ set di conclusione del festival. Ci piaceva molto questa idea di scomporre lo spettacolo per mettere in luce tutte le sue caratteristiche, sentivamo che le persone potevano restare affascinate da Anse anche non capendo esattamente quello che stavano vedendo, così come è successo a noi che abbiamo imparato a conoscere pienamente il loro universo espressivo solo mentre organizzavamo e partecipavamo agli eventi».

Non c’è da stupirsi che un team di ragazzi giovani abbia sviluppato così velocemente un’affinità elettiva con lo spirito dello spettacolo: abituati alla frammentazione, allo stare a galla in un tempo sempre più stretto e veloce e abituati al patchwork della fruizione culturale attraverso la rete, hanno saputo vedere Anse con un interesse specializzato, con un occhio curioso e animato da un’estrema voglia di esplorarlo e scomporlo. Pur se lo spettacolo ha ricevuto l’approvazione anche nella lista dei Visionari “senior”, mi sento di dire che dove loro hanno premiato Anse come qualcosa di nuovo e dirompente, il pubblico giovane lo ha invece visto come la storia dei pensieri di tutti i giorni che tenta di essere. Dove al talk con le compagnie organizzato il giorno dopo la rappresentazione al Caffé Gerasmo una parte di pubblico parlava di uso peculiare del linguaggio del rap o accusava forse, a trovarci davvero un difetto, un’eccessiva pesantezza, altri avevano appuntato sul telefono i loro passaggi preferiti, parlavano di momenti specifici, frasi, giochi di luce, pause, momenti. Tutti i frammenti di cui Anse era composto in principio, resi universali e messi in scena, si disperdono insomma tra il pubblico e ritornano privati appena calato il sipario, in quel gioco di empatia che è il livello elementare della fruizione artistica.

In questo Anse si conferma teatro ma rimane performance, videoclip glorificato, spoken music, o tutto quello che vogliamo. Un puzzle completo nella sua estrema, e ricercata, parcellizzazione.

L'autore

  • Vincenzo "Notta" Riccardi

    Giornalista, montatore video, fonico di presa diretta, futuro bibliotecario. Dal 2024 nel nucleo redazionale di Ubu Dance Party. Segue con fervido entusiasmo le scene underground della sua città (Roma), tra serate di poetry slam, spazi mostre minuscoli e festival di arte performativa.

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