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I versi delle mani_4 settembre-24

#5 Una sinestesia in equilibrio tra movimento e musica

di Altre Velocità

Scrivo, eppure non so bene cosa dire. 
Come mi ha lasciata questo spettacolo?
Angosciata, forse, sollevata, anche. 
Particolare come in 35 minuti differenti emozioni si siano incontrate e scontrate, vero? 

Lo spettacolo che mi lascia così perplessa è I versi delle mani, andato in scena giovedì 4 settembre, in Sala Bergamas, durante il festival In\Visible Cities. Si tratta di un’esibizione di danza contemporanea: Laura Lucioli sul palco, ballerina con sindrome di Down, e Agnese Banti, che traduce i suoi movimenti in musica. La performer inizia distesa, pancia all’insù, occhi chiusi, luci soffuse e fredde. Un respiro, prolungato, quasi penetrante, che lascia un dubbio: come si evolverà da questo punto in avanti? 

Il tempo scorre, ma tutto resta immobile. Inspira ed espira, e dopo l’attesa cominciano a nascere i primi movimenti. La performer inizia lentamente a sollevarsi, i rumori si trasformano. La musicista alterna con delicatezza gli strumenti tra le mani (c’erano alcune superfici vibranti in scena e un samvadini, cioè un harmonium portatile indiano dotato di registri per calibrare l’uso dei bordoni), eseguiti con un ritmo flemmatico e misurato. Immagina la scena: un dialogo dissonante tra corpo e suoni musicali e vocali. Il volume si alza, la tensione pure. I movimenti mutano: c’è libertà. La ballerina si muove e occupa tutto lo spazio a lei circostante: apre le braccia, scuote i capelli, muove le mani con vitalità. La musica cresce ancora, fino a raggiungere il culmine. La danzatrice comincia a girare con una spinta decisa e lancia brillantini nell’aria: è forse il clue della vita. La musicista continua a riprodurre sonorità incomprensibili; il suo sguardo è fisso, impassibile. La luce cambia, si tinge di rosso e arancione. La ballerina continua a girare e, a volte, urla. Pian piano il ritmo rallenta, la danzatrice si quieta e la musica con lei. Poi si distende, la luce appare sempre più fioca. Riprendono i respiri, lenti, quasi soffocanti. 

Ecco, è questa una delle sensazioni che ho percepito: oppressione. L’eccesso del respiro e della lentezza ha suscitato in me tensione e agitazione. Forse perché, come tanti, sono figlia di una generazione digitale e dunque sono stata abituata a dei ritmi fulminei. È un’ipotesi, non ne sono ancora convinta, così come sul perché, abbassate le luci, mi sono sentita completa. Come se lo spettacolo, attraverso la creazione di un ciclo, inconsapevolmente, si fosse chiuso. L’inizio dei respiri: la nascita. Come quando appoggi la mano sulla pancia di una mamma e senti i battiti. Continui, incessabili. Un’emozione che provoca angoscia, quella della consapevolezza delle difficoltà che porterà l’esistenza. I primi movimenti che culminano con i brillantini e i gesti circolari: lo sviluppo della vita. I respiri conclusivi, gli ultimi, a rappresentare il termine dei giorni. Questa è una delle tante interpretazioni che si possono dare a questo spettacolo. I versi delle mani è una sinestesia che crea un equilibrio tra movimento e musica.

Sicuramente non lo definirei uno spettacolo “leggero”; direi, semmai, che è un modo differente e stimolante di sentire la danza attraverso il respiro. 

Angela Antoniali

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