
Appunti, pensieri non ancora del tutto formalizzati, suggestioni, ipotesi di discussione a partire dagli spettacoli visti. Una forma aperta, non saggistica, un racconto per frammenti ospitato una volta alla settimana, una scrittura quasi in presa diretta per provare a testimoniare la complessità e diversità delle proposte teatrali del presente.
Passaggi di stato della materia. Golem_e fango è il mondo di Mariasole Brusa
Non capita spesso di vedere il teatro di figura alla Biennale Teatro. Anzi, non capita quasi mai. Va quindi riconosciuto il grande traguardo che Mariasole Brusa, vincitrice della Biennale College Teatro 2024-2025 per la sezione regia under 35, ha raggiunto portando in scena Golem_e fango è il mondo alla 53° edizione della Biennale Teatro a Venezia.
Lo spettacolo, infatti, è composto dall’utilizzo di diverse creazioni marionettistiche – di Gianluca Palma, Sofia Orlando e Marco Scarpa, — utilizzate per rievocare il forte impatto, emotivo e ambientale, subìto dalla regione Emilia-Romagna durante le alluvioni del maggio 2023. Elemento centrale della creazione è infatti il fango, nei suoi diversi stati fisici – polveroso e duro quando secco, viscido e melmoso quando incontra l’acqua. Ed è proprio l’acqua che può trasformarlo in mostruosa creatura devastante, come quel gigante di fango il cui controllo sfuggì al suo creatore, secondo la leggenda del Golem di Praga.
Il fango è dunque la materia che informa oggetti e figure presenti in scena: esso viene modellato a mano, ricopre il corpo della marionetta a fili che impara lentamente a muoversi, la stessa che compare in proiezioni video su uno schermo posto a fondo palco, assume fattezze mostruose nell’enorme telo che ricopriva tutta la scena dall’inizio dello spettacolo, e che viene infine sollevato a svelare un volto minaccioso che ricopre quel poco che si è salvato dell’interno di una casa: una poltrona, un comodino, un tavolo…
A manipolare tutti i “passaggi di stato” di questa materia sono quattro marionettisti incappucciati di nero come i ningyōtsukai del bunraku giapponese, Interpretati da Eva Luna Betelli, Giovanni Consoli, Sofia Orlando e Angela Dionisia Severino, sono precisi nei movimenti e nell’interpretazione, benché muta – le parti di testo sono infatti relegate a una voce off infantile e a sottotitoli che appaiono sullo schermo di fondo. Se la presenza liminare del testo scandisce in modo puntuale le scene lasciando più spazio possibile alle figure, la scelta della voce fuori campo risulta meno convincente e tende alla ridondanza, forse anche per il “raddoppio” dato dal fatto che le stesse parole vengono proiettate sullo schermo in italiano e in inglese. Soprattutto, evocando una presenza umana, la voce finisce per distogliere l’attenzione dalle figure e, con il passare del tempo, sembra appesantire l’esperienza dello spettacolo.
Come indicato nel foglio di sala, lo spettacolo sembra voler sfruttare il più possibile le capacità tecniche dell’equipe e le potenzialità espressive della figura, visto che esso alterna l’uso di “marionette meccaniche e a fili, pupazzi corporali, animazione della materia, ombre, ibridate con riprese documentaristiche e cinema di animazione”. Una proliferazione che, se da un lato trasmette l’entusiasmo di far entrare infine le figure nel mondo del teatro “grande”, dall’altro rischia di depauperare l’incisività drammaturgica e visiva del lavoro. Ad esempio, viene utilizzato solo per un breve istante l’enorme volto del mostro-fango evocato più sopra, che sorge in modo piacevolmente inaspettato ma che subito viene riposto a terra, senza portare fino in fondo le sue potenzialità.
Anche l’utilizzo del video appare poco focalizzato: le sequenze di cinema d’animazione perdono forza, perché si soffermano sui dettagli della marionetta a filo che, poco prima, aveva preso vita sulla scena con ben altra intensità. Invece di creare un vero dialogo tra video e marionetta – il nostro sguardo a teatro è ormai più abituato a riprese video in diretta che a sequenze di puro “cinema d’animazione” – il video indugia su particolari che rischiano di avere una funzione puramente decorativa e poco significativa, quasi un esercizio di stile volto a mettere in risalto le raffinate capacità tecnico-espressive della marionetta.
Molto evocativi invece i frammenti video documentaristici, di famiglie che giocano su un canotto mentre cercano di rientrare a casa una volta passata l’alluvione. Anche qui, però, compaiono solo in chiusura e finiscono forse troppo rapidamente.
Restano tuttavia impressi con gioia gli scrosci di applausi alla fine: hanno comunicato la fierezza di tutto un mondo di artisti, artigiani e appassionati finalmente riconosciuti nell’attenzione verso un’arte millenaria, presa in consegna con responsabilità e devozione da Mariasole Brusa e dal resto dell’equipe di Golem. Resta l’importanza di coltivare, curare e far conoscere questo linguaggio teatrale, e del tentativo di Brusa di metterlo alla pari degli altri una volta per tutte.
Francesca Di Fazio

Un manuale di regia al tempo del teatro documentario. The Seer di Milo Rau
Ursina Lardi è in scena da sola con l’ausilio di un microfono, nel largo proscenio del Teatro alle Tese di Venezia. Dietro di lei un videofondale occupa tutta la superficie disponibile, conferendo profondità a immagini proiettate a grandezza naturale, un effetto di iperrealismo rappresentativo registrato sui questi tempi “mediali”. L’attrice, anche Leone d’Argento alla carriera alla Biennale Teatro diretta per il primo anno da Willem Dafoe, si presenta come fotoreporter. Il suo è un meta-racconto sulla sua professione, sulla vocazione a cercare immagini di guerra «prima che si presentino di fronte ai suoi occhi», quasi una Cassandra. Siamo in Iraq, a Mosul, zona di conflitto dove il regista svizzero ha ambientato qualche anno fa uno dei suoi spettacoli documentari (Orestes in Mosul, 2018).
Il grande schermo alle spalle dell’attrice ha funzione sia di poetica, per impostare i contorni del disegno registico documentario, sia naturalmente narrativa: è solo sullo schermo che vediamo le immagini del co-protagonista, Azad Hassan, maestro che ci racconta la vita ai tempi dello Stato Islamico attraverso riprese in campo lunghissimo. L’uomo si approssima al primo piano dell’inquadratura camminando dal fondo di un paesaggio brullo, in cui intuiamo la presenza di case e campi bruciati dal sole; arrivando in primo piano, racconta la sua storia di fatto dialogando con la fotoreporter, poi fa ritorno sul fondo del video, e così via per tutte le volte che prenderà la parola.
Milo Rau aveva tarato la nostra percezione all’inizio dello spettacolo, generando una perturbazione con lo scopo di sgretolare l’affidabilità dei piani del racconto: l’attrice in proscenio si scopre una porzione di carne sulla gamba e si pratica un’incisione con una lama, scorre copioso il sangue in video proprio mentre nel qui e ora del teatro la donna non emana nessuna reazione, nessun effetto si genera dalla causa. Così il racconto procede alternando due piani in reciproca tensione: una drammaturgia documentaria recitata dall’attrice, un testo scritto “dal vero” costruito attraverso incontri e testimonianze raccolte negli anni, riportato su una scena che metonimicamente riecheggia l’ambientazione irachena del video con arbusti desertici e rocce; e la presenza in video di Hassan, “testimone reale” che narra stagliandosi nei suoi contorni post-mimetici digitali, figura che Rau stesso associa al Filottete classico, eroe emarginato perché ferito, considerato un pericolo anche dagli “amici”.
E questa non è l’unica assonanza col classico, come del resto ama spesso fare il regista svizzero: entrambi i personaggi raccontano infatti lasciando fuori scena la violenza, che può essere narrata, smontata attraverso meccanismi di re-enactment anti-illusionistici ma poco o nulla mostrata, né col teatro né attraverso l’immagine filmica; non viene mostrato il rapimento della reporter, sequestrata e seviziata, non viene mostrata la violenza subita dal maestro, al quale viene tagliata una mano dall’Is, anche se il racconto in prima persona lascia posto a scene documentaristiche ricostruite, che però sottraggono il momento topico dell’atto violento.
Così questa regia pare come un manuale sulle possibilità del teatro, del cinema e della rappresentazione di natura documentaria: è ancora possibile testimoniare e far conoscere stando nei luoghi, incontrando, ricostruendo storie e vicende, per poi restituirle sapendo sfrondare dai dettagli ciò che brama la nostra assuefazione? Come cambia la natura della nostra esperienza se questi zoom sul dolore degli altri (Sontag) vengono omessi? Si sta forse riabituando una collettività, quella della platea, a quell’ascolto profondo che chiama in causa l’immaginazione?
Allora la “catarsi” finale è davvero il possibile recupero di un’esperienza anche contro le nostre aspettative: la reporter e l’insegnante finalmente condividono lo stesso spazio diegetico in video, portandoci con loro in una serata di svago, così la ferocia del documentario trascolora in un road-movie fra locali notturni in cerca di musiche e danze. Mentre Hassan mostra l’arto monco, la grevità documentaria si sospende, e la vita ricomincia nella dolcezza di una notte irachena.
Lorenzo Donati

Gli spettacoli
Golem_e fango è il mondo, regia e drammaturgia: Mariasole Brusa; con Eva Luna Betelli, Giovanni Consoli, Sofia Orlando, Angela Dionisia Severino; musica Andrea Napolitano; marionette e oggetti di scena Gianluca Palma, Sofia Orlando, Marco Scarpa; scenografia: Alberto Favretto; disegn luci Sander Loonen; costumi Gianluca Sbicca; video: Caterina Salvadori, Mariasole Brusa – Meclimone Produzioni; tutor Stefano Ricci, Gianni Forte; produzione La Biennale di Venezia con il supporto di Teatro del Drago
The Seer, testo e regia di Milo Rau; con Ursina Lardi, Azad Hassan (video); scene e costumi: Anton Lukas; designo sonoro: Elia Rediger; video: Moritz von Dungern; drammaturgia Bettina Ehrlich, Carmen Hornbostel; ricerche: Ursina Lardi, Milo Rau; luci: Stefan Ebelsberger; coproduzione La Biennale di Venezia, Schaubühne Berlin, Wiener Festwochen | Free Republic of Vienna
L'autore
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Redazione intermittente sulle arti sceniche contemporanee.


