Bugia, silenzio, corpo, trasformazione e futuro sono 5 parole che fischiano nelle orecchie di qualsiasi genitore con un figlio adolescente in casa, qualsiasi adulto che abbia una relazione con i ragazzi. Sono anche concetti fondativi per un’arte, quella teatrale, che nella relazione e nella compresenza trova la sua essenza e che forse qualcosa può sussurrare all’orecchio degli adulti: possibili suggestioni per costruire un ponte con l’adolescenza.
In che modo dunque essere spettatori e spettatrici teatrali potrebbe “allenarci” nella nostra genitorialità e più in generale a stare di fronte ai giovanissimi?
Le domande che il teatro (nella migliore delle ipotesi) ci pone, l’ascolto sottile e lo sguardo vivo che ci richiede, possono interrogare il nostro modo di stare al mondo e di guardare alle giovani generazioni?
In primavera come Altre Velocità abbiamo desiderato formare un gruppo di genitori che, partendo da alcune parole del teatro, potesse costruire una comunità per provare a sentirsi meno soli, scambiarsi interrogativi, punti di vista, esperienze muovendo da alcune suggestioni che la scena offre, accendendo la possibilità di praticare collegialmente pensieri attorno alla complessa genitorialità contemporanea.
Un percorso tanto intimo quanto collettivo che dalla scena possa arrivare a interrogare la genitorialità.
Pensiamo che la nostra spettatorialità, soprattutto quando viva e vigile, sia la possibilità di entrare in relazione con una distanza (quella con il palco) che molto somiglia alla lontananza generazionale, linguistica ed estetica che abbiamo con gli adolescenti. Quindi in che modo “allenare” la nostra spettatorialità ci renderebbe più consapevoli delle distanze e delle diverse prossimità? Che farcene poi?
Mi piace pensare che queste 5 parole abbiano aiutato a renderci un po’ più sensibili nella nostra genitorialità, grazie al teatro.
Qui di seguito proviamo a dare un assaggio del percorso intrapreso.

Bugia
Dico una cosa ma ne penso un’altra, mento, ometto, nascondo e mi nascondo. L’arte del teatro è l’arte del nascondimento più che dello svelamento. Mascherare per smascherarsi. L’assenza del giudizio può essere una delle strade possibili per stare di fronte alla menzogna. E il teatro, luogo in cui “tutto è finto ma nulla è falso”, potrebbe allenare il nostro sguardo, la nostra postura: la possibilità morbida di accogliere le menzogne come l’occasione per l’adolescente di raccontare ciò che realmente è. Nell’ossimoro “bugiardi sinceri” di Albert Camus si gioca, infatti, tanto della partita teatrale dell’attore e dell’attrice in scena e al contempo ci pone una domanda: Non è che quando i giovanissimi mentono, una traccia di verità si annidi in quella loro maschera, in quella loro narrazione finzionale?
Insieme a Gianluca Guidotti (Archivio Zeta), partendo da alcuni spunti letterari, abbiamo attraversato tre possibili declinazioni della bugia partendo dalla frottola fino ad arrivare alla menzogna, a cavallo tra attività creativa e immaginativa, capacità di legittimare la “balla” mantenendo una relazione “vigile” tra “il narratore” e chi la riceve e il preoccupante orizzonte della menzogna capace di reinventare la realtà sfumando consapevolezza, lucidità, vigilanza scivolando verso una manipolazione del mondo. Un percorso denso, senza ricette nè soluzioni, che ci ha posto domande su ciò che viene detto e su ciò che viene omesso, su ciò che viene mostrato/ostentato e ciò che in realtà è, interrogandoci sulla reinvenzione operata sui social e sulla fruizione che ne fanno i più giovani. Molteplici le aperture che questo argomento ha offerto, abbiamo tuttavia deciso collegialmente di rimandare a un ulteriore momento di confronto dedicato, la possibilità di sviscerare i tanti aspetti e riverberi che offre.
Bibliografia
Carlo Collodi, Pinocchio
Tonino Guerra, Il libro delle chiese abbandonate
Emmanuel Carrère, L’Avversario

Silenzio
Il secondo incontro, condotto da Rodolfo Sacchettini, parte da dove era finito il primo: l’omissione come forma linguistica per dirci qualcosa, il nascondimento come possibilità di affermazione, la lacuna che parla più delle frasi fatte, delle risposte automatiche. Le pause, si sa, rientrano nelle scritture, i silenzi rientrano nelle drammaturgie tanto quanto le parole.
Sacchettini, studioso, amante ed esperto di radiodrammi e di ascolto, propone tre silenzi possibili: quello di chi è in ascolto e non fa null’altro, il silenzio agito di chi fa qualcosa e nel frattempo presta attenzione e il silenzio di chi vorrebbe dire ma si censura, “una vera e propria orchestrazione dei silenzi, partiture musicali tanto che Samuel Beckett pare addirittura li cronometrasse”.
Ma ce lo insegna anche Pirandello che nelle indicazioni preliminari per i registi e gli attori che metteranno in scena La vita che ti diedi scrive: “Non abbiamo per carità timore del silenzio, perché il silenzio parla più delle parole in certi momenti, se essi lo sapranno far parlare” e Stéphane Braunschweig, regista che recentemente ha messo in scena il testo con Daria Deflorian e Federica Fracassi rincara: “Recitare Pirandello con le sue frasi spezzate, piene di non detti, è difficile, bisogna sempre aver presente i sottintesi, i non detti: ci sono cose che non possiamo dire, che non osiamo dire” e ancora: “Ho scoperto il testo pieno di significati nascosti, Pirandello scruta l’intimo caos delle persone reali dietro le belle immagini cui tutti vorrebbero somigliare, togliendo loro spietatamente la maschera, pur sapendo che non sarà la nudità a dare accesso alla loro verità”.
Molto interessante ascoltare come lavorano alcuni registi e attori quando prendono un testo e lo leggono insieme per la prima volta: quasi tutti quelli che negli anni ho sentito parlare riportano che nei testi vadano a cercare quello che i personaggi non stanno dicendo, cerchino tra le battute, tra le righe, cosa non stanno dicendo i personaggi.
Audiografia, filmografia, bibliografia
4’ 33’’ di John Cage
Rumore bianco di Don DeLillo
Radioboom - Morte di un bengalino | Rai Radio Techetè | RaiPlay Sound
https://it.wikipedia.org/wiki/Le_meraviglie

Corpo
Il teatro è logos ma non solo. Presenza scenica, fisicità, corporeità collaborano, quando non sono al centro, dell’evento teatrale. Corpo dell’attore e corpo dello spettatore si incontrano per generare insieme “un campo di forze” che possa far avverare quell’incontro proprio dello spettacolo dal vivo. Come “allenare” il proprio corpo adulto a stare di fronte all’energia creativa dell’arte e agli adolescenti? Come farci trovare pronti di fronte alla turbolenza della trasformazione corporea e non solo?
Affiancati da Francesca Penzo, artista, coreografa e danzatrice, tra le fondatrici di Micce abbiamo provato a domandarci collettivamente quali pratiche si possano mettere in campo per allenare un corpo adulto a risvegliarsi, risvegliare una sensibilità e un ascolto sottile che possano essere espedienti capaci di mantenere una vicinanza emotiva anche nella distanza dei corpi.
Iniziando a ragionare di corpo e corpi subito si è affacciata un’altra parola-mondo: la
presenza. Dunque, proprio dal come si possa allenare la presenza attraverso e grazie al corpo, siamo partite con Francesca per provare a carpire cosa possa voler significare essere presenti a se stessi e al tempo stesso disponibili nei confronti del mondo esterno: qualità al contempo radicata e schiusa.
L’apertura non è una pratica semplice, soprattutto da adulti quando una certa rigidità fisica e mentale potrebbe avere la meglio: come allenare un adulto a cedere, ad accogliere la propria trasformazione ed essere dunque maggiormente predisposto ad accogliere anche le trasformazioni altrui? Secondo Francesca una possibile chiave risiede nell’allenamento: parola che racchiude in sé il senso di una pratica che solo se “allenata” può portare a una trasformazione, non come risultato, ma come percorso di conoscenza e consapevolezza. È proprio grazie alla possibilità trasformativa che possiamo pensare da adulti di vivere una diversa prossimità con l’adolescenza sentendosi accanto senza contatto, presenti nella giusta distanza, rimanendo saldi dentro alla frustrazione per una distanza che, forse, non sempre si è scelta.
Bibliografia
Butler, J. L’alleanza dei corpi. Note per una teoria performativa dell’azione collettiva, Candiani C., Il silenzio è cosa viva, Einaudi Nottetempo
Gancitano M. e Colamedici A., La società della performance, Tlon
Hooks B., Il femminismo è per tutti. Una politica appassionata, Tamu
Tolle E., Il potere di adesso, My Life Edizione
Preciado P. B., Testo tossico, Fandango LibriPugno L., In territorio selvaggio, Nottetempo

Trasformazione
Genitori, docenti, educatori di fronte alla trasformazione adolescenziale potrebbero essere costretti a trasformarsi a loro volta. Questa possibilità, già affiorata nel corso dell’ultimo incontro sul tema del corpo condotto da Francesca Penzo, ci parlava di una resistenza del corpo adulto al cambiamento. Come favorire quindi il cambiamento, una possibile metamorfosi anche nell’adulto? Ne abbiamo parlato con Sandro Bastia, pedagogista.
Sia che si parli di giovani che di meno giovani, è bene accogliere la trasformazione senza giudizio non essendo in sè né buona né cattiva ma un fatto con cui confrontarsi, l’occasione di frequentare un territorio che sovverte le logiche produttive e finalizzate: nel corso di un rinnovamento si parte da un territorio conosciuto per andare verso l’ignoto. Per cambiare ci vuole coraggio e desiderio, entrambe condizioni anti-ecologiche che richiedono un grande dispendio di energia, che ci mettono in condizioni scomode e difficili e che tuttavia collaborano a renderci umani.
Ed è qui che incontriamo il teatro, qui lo intrecciamo, Chiara Lagani, durante il convegno Crescere nell’assurdo, ha parlato del ruolo dell’artista:
Kurt Vonnegut ha inventato una metafora molto più delicata, terribile e anche lieve sull’artista: l’artista è come il canarino che i minatori mandano avanti nelle miniere. Se ci sono delle esalazioni tossiche, il canarino morirà per primo e loro si salveranno. L’artista per Vonnegut è chi va in avanscoperta a rischio della sua stessa vita. Il canarino precede i minatori non perché sia più dotato, ma perché è più sensibile alla tossicità, al veleno. L’artista poi, fin dall’antichità, è colui che produce in sé l’alchimia, che trasforma il veleno in pharmakon. Vive e muore, ma poi ancora muore e vive, e lo fa prima degli altri, o, se vuoi, davanti agli altri.
Bibliografia
Hillman, J. Il codice dell’anima. Adelphi
Jung, C.G. L’Io e l’inconscio. Bollati Boringhieri
Lancini, M. L’adolescente. Psicopatologia e psicoterapia evolutiva. Raffaello Cortina Editore.
Pietropolli Charmet, G. I nuovi adolescenti. Padri e madri di fronte a una sfida. Laterza

Futuro
L’ ultimo incontro, affiancate da Francesca Fava, preside del Fomal scuola superiore di formazione professionale, si è concentrato attorno alla parola futuro. Fava lavora quotidianamente a stretto contatto con adolescenze che nel corso della vita hanno avuto qualche inciampo, indispensabile, soprattutto con loro è costruire insieme un immaginario di futuro possibile, in un momento storico e in un contesto socio-politico quanto mai incerto, all’interno del quale la nostra capacità di articolare di pensieri sul futuro pare vacillare.
Siamo cresciuti come generazione (insieme alle generazioni che ci hanno preceduto) con una sovraesposizione di futuro dove tutto era possibile, la curva sempre in crescita costante, le risorse inesauribili. In che modo il pensiero analogico del teatro ci può allenare all’immaginazione ed essere quindi uno strumento di sopravvivenza?
Parlare di futuro vuol dire parlare di presente e scuola e famiglia sono luoghi che vivono e si nutrono di compresenza e di relazione: in che modo dunque stare nel presente di queste relazioni ci allena a proiettarci nel futuro?
Come si fa a pensare alla crescita dei nostri figli non come semplice proiezione ma come una possibilità tutta da immaginare?
In una classe delle superiori è emerso il terrore nei confronti del futuro ma come affrontare questa paura paralizzante?
Risponde il Prof. Corazza del Dipartimento di Scienze dell’educazione dell’Università di Bologna:
Bibliografia
P. Corazza, Coltivare speranza su un pianeta al collasso, Franco Angeli
Bugia, silenzio, corpo, trasformazione e futuro sono parole-mondo che appartengono certamente alla scena e al teatro, come, potenzialmente, afferiscono ad altri mille ambiti. I partecipanti e le partecipanti agli incontri, hanno seguito con fiducia e apertura la scintilla di un’intuizione che ha offerto la possibilità di un’interrogazione collettiva che, partendo dal teatro, potesse offrire la possibilità di renderci spettatori e spettatrici più sensibili e vibranti, anche nelle nostre quotidianità. Con tutta probabilità il teatro dal V sec aC, grazie ai suoi molteplici linguaggi ed estetiche, ci educa celando, ci parla tacendo, ci insegna occultando. Esattamente quello che fanno i nostri ragazzi, ogni giorno.
Gli incontri della seconda edizione di DI-VENTO: corso per diventare genitori tempesta (grazie al teatro) sono stati finanziati dai fondi PNRR DM 19 di IC8 e dell’IIS Crescenzi Pacinotti Sirani
L'autore
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Classe 78, veneta di nascita e bolognese d’adozione, si laurea in lettere e filosofia al Dams Teatro e per alcuni anni insegna nelle scuole d'infanzia di Bologna e provincia e lavora a Milano nella redazione di Ubulibri diretta da Franco Quadri. Dal 2007 è giornalista iscritta all’ordine dell’Emilia-Romagna. Ha collaborato con La Repubblica Bologna e l’Unità Emilia-Romagna scrivendo di teatro e con radio Città del Capo.


