L’uomo è solo una piccola parte del mondo, come lo è una tessera in un mosaico. Questo è il messaggio che la Compagnia Arearea diffonde con lo spettacolo Muse, messo in scena al Museo Rossini di Pesaro il 6 settembre 2025 in occasione dell’Hangartfest.
Lo spettacolo ideato e diretto da Marta Bevilacqua, direttrice della Compagnia, parte dalla scalinata del Museo, in cui un danzatore (Andrea Rizzo) in tuta blu porta con sé un cesto con dei frammenti di mosaico, muovendoli in modo da creare dei suoni per sincronizzare i propri gesti in assenza di musica; a ogni scalino vengono raccolte nuove tessere. Dopo aver completato la salita, il danzatore entra nella prima sala invitando il pubblico a seguirlo, venendo poi raggiunto dalle muse, tre danzatrici vestite in tute monocolore (la stessa Bevilacqua, Angelica Margherita e Valentina Saggin), per formare una coreografia, che vede una di loro danzare vicino al ritratto di Gioacchino Rossini.
La musica aggiunta crea ancora più tensione nello spazio scenico, esaltando lo stato d’animo del pubblico e aumentando la sensazione di curiosità nei confronti del linguaggio fisico ed espressivo della danza. Ad alcuni membri del pubblico vengono consegnate delle parti di mosaico, probabilmente per comunicare che nella narrazione e nel messaggio tramandato sono inclusi anche gli osservatori. Durante il percorso museale il danzatore e le danzatrici occupano lo spazio in modo diverso; alcune si muovono e danzano in mezzo al pubblico cercando interazione con esso, altre appaiono immobili in alcune sale come delle statue con delle cuffie alle orecchie, mentre gli spettatori continuano il loro percorso.

Nei continui cambi di sala e nella diversità delle danze il mosaico rimane l’elemento preponderante, come quando una performer ricopre il braccio nudo dell’altra con alcune tessere. Nell’ultima coreografia i danzatori sono riuniti in cerchio in uno spazio minuscolo, nel quale riescono a sintonizzarsi al meglio, a muoversi rotolando per tutto lo spazio e a compiere verticali in simultanea.
Il lavoro teatrale della compagnia di Udine concentra dunque la propria partitura coreografica sulla ripetizione di gesti e movimenti piccoli, ricollegandosi alla presenza delle tessere del mosaico; come argomentato dalla stessa compagnia, l’obbiettivo è quello di smentire l’idea di futilità e insignificanza dei piccoli gesti, che invece arricchiscono e motivano il senso della narrazione. Nessun dettaglio viene tralasciato, neanche gli sguardi, i respiri e le espressioni facciali dei danzatori. La scelta di mettere in scena uno spettacolo di danza al Museo Rossini aumenta la percezione di importanza della piccola dimensione, visto che l’essere umano è minuscolo non solo di fronte all’ordine universale, ma anche di fronte all’arte e alle sue creazioni, esattamente come appaiono microscopici una tessera comparata al suo mosaico o un capitello relazionato al suo intero tempio.
Lo spettacolo di Marta Bevilacqua è definibile allora come un grande disegno a mano libera in cui le varie componenti, a differenza dei pezzi di un normale mosaico, non rimangono statiche, ma cambiano direzione, si scompongono e mutano forma. Questa idea giustifica l’allestimento dello spettacolo in un luogo museale, che, già caratterizzato dalla presenza di ritratti, statue e lampadari, viene arricchito dal dinamismo della danza e dalle musiche originali, che abitano assieme alle altre arti in un unico grande corpo.
L'autore
-
Nato a Venezia nel 2005, collabora con le testate online “Il Punto Quotidiano” e “Finnegans”, con il periodico “Gente Veneta” e nel 2024 ha scritto recensioni per la Rassegna teatrale e musicale “Le città visibili”, svoltasi a Rimini


